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07 settembre 2017

Sentenza sulle violazioni nella gestione dei rifiuti

La Corte di Cassazione si esprime sulla responsabilità amministrativa nel caso di una scorretta gestione rifiuti

 

Con la sentenza n. 9132 del 24 febbraio 2017 la Corte di Cassazione (Sez. III Penale) si è pronunciata in merito all’applicazione del D.L.vo n. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti nel caso di violazioni nella gestione dei rifiuti e quindi in campo ambientale.
Un caso interessante per capire i possibili risvolti giuridico amministrativi nel caso di una gestione rifiuti non attenta e precisa.

I legali rappresentanti della Società (persone fisiche), secondo l’accusa, non avevano osservato le prescrizioni autorizzative per l’impianto di gestione rifiuti (autorizzato al recupero in forma semplificata ai sensi dell’art. 216, D.L.vo n. 152/2006) in quanto:
- non avevano conservato presso l’impianto i referti analitici dei rifiuti
- non avevano eseguito una puntuale verifica dei rifiuti in entrata, al fine di catalogarli adeguatamente
- avevano omesso di conservare presso l’impianto i registri di carico e scarico dei rifiuti
- avevano omesso di apporre la prevista segnaletica nei silos di deposito rifiuti
La Società (soggetto giuridico) rispondeva, invece, dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-undecies, D.L.vo n. 231/2001 perché “aveva reso possibile la consumazione, nel proprio interesse, del reato sopra indicato a causa dell’assenza di un modello organizzativo riguardante le procedure da adottare in materia di rispetto dell’ambiente, sia relativamente alle prassi operativo-decisionali da adottare che relativamente alla designazione di un organo di controllo e vigilanza sulla corretta esecuzione dei piani”.


La sentenza n. 9132/2017 analizza la contestazione alle persone fisiche del reato ex art. 256, comma 4, D.L.vo n. 152/2006 (che sanziona l’inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché le ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni), con conseguente applicazione alla Società dell’illecito amministrativo ex art. 25-undecies, comma 1, lett. a) (“Inquinamento ambientale”), e comma 6, D.L.vo n. 231/2001.

La sentenza inoltre si pronuncia in merito all’istituto della delega di funzioni ambientale, affermando quanto segue: “Escluso che le dimensioni dell’impresa costituiscano condizione necessaria per l’esercizio della delega … resta comunque il fatto che, proprio perché la legge costituisce la persona giuridica direttamente responsabile della gestione del ciclo del rifiuto da essa trattato, per attribuirsi rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, è necessaria la compresenza di precisi requisiti:
a) la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale;
b) il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli;
c) la delega deve riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa;
d) l’esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo …
La mancanza di deleghe di funzioni, nei termini sopra indicati, è fatto che di per sé prova la mancanza di un efficace modello organizzativo adeguato a prevenire la consumazione del reato da parte dei vertici societari.
”.

La sentenza in conclusione rileva che ciò che ha determinato l’insorgere della responsabilità della Società coinvolta in virtù del D.L.vo n. 231/2001 è l’assenza non solo del Modello organizzativo recante le procedure da adottare in materia di ambiente ai fini della prevenzione dei relativi reati-presupposto, ma anche la mancata designazione di un Organismo di Vigilanza idoneo a vigilare sulla “corretta esecuzione dei piani”.
 

 

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